Michele Maggio per NUOVO DIALOGO – 29 Novembre 2019
Abbiamo intervistato Emanuele Loconte, un giovane che ha deciso di concretizzare la propria fede mettendosi a servizio di chi è in difficoltà.
Trascorsi pochi giorni dalla solennità di Cristo Re dell’Universo ed essendo entrati ormai nel tempo dell’Avvento, i nostri cuori si dilatano nell’accoglienza di quell’amore che per noi ha assunto la carne dell’uomo. Un amore che trova sempre nuove strade per rendersi presente nella vita di ciascuno di noi. Le nostre comunità sono piene di giovani che, spinti dalla creatività dello Spirito, hanno deciso di dedicare la propria vita al servizio del prossimo. Uno di questi è Emanuele Loconte. Un giovane che ha scelto di concretizzare la propria fede mettendo a servizio di chi è in difficoltà la sua predisposizione all’accompagnamento in una modalità che sta sempre più prendendo piede anche in Italia: il coaching.
Partiamo dall’inizio Emanuele. Cosa è il coaching e cosa fa concretamente un coach?
Di solito si pensa al coach come un allenatore calcistico, il cui compito è quello di preparare tatticamente e tecnicamente la squadra. Ciò di cui voglio parlare riguarda però più un aspetto mentale. Il mental coach è un professionista che si pone come sostegno ad una persona in difficoltà. La sua missione è quella di scovare le potenzialità latenti di un individuo, capire quali siano gli obiettivi che intende raggiungere e fornirgli gli strumenti necessari per tale scopo. Il fine è quello di renderlo consapevole delle proprie capacità e di permettergli di esprimere tutto il suo talento.
Come mai hai scelto di seguire questa strada? E in che modo la tua fede è entrata in questo percorso?
Sono sempre stato un giovane in ricerca. Vicende negative accadute nella mia vita mi hanno condotto ad occuparmi di teatro. L’esperienza teatrale è stata per me una sorta di ‘terapia’ capace di mettermi davanti a quello che stava accadendo nella mia esistenza. Tutto è iniziato nel 2010, quando mi è stata data la possibilità di scoprire e coltivare questo mio talento. Come ci insegna la parabola, un talento lo si può seppellire o lo si può far fruttificare. Per questo ho deciso di mettermi al servizio dei ragazzi nell’ANSPI della parrocchia del ‘Divino Amore’ di Martina Franca. In quel periodo mi sono reso conto di nutrire il desiderio di aiutare in modo più completo i giovani che mi erano stati affidati. Così ho iniziato a ricercare un percorso che potesse aiutare la mia fede ad esprimersi e che potesse darmi anche le competenze e gli strumenti atti ad un aiuto più efficace del prossimo. Dopo un cammino di crescita personale sono anche diventato il referente nella provincia di Taranto di Master Coach Italia, l’unica scuola di coaching riconosciuta in Puglia.
In che modo questa esperienza aiuta i giovani a scoprire sé stessi?
Gli adolescenti chiedono ascolto, sostegno, fiducia, stima e amore ma manifestano tutt’altro: sfida, superficialità, disinteresse e sono spesso critici e polemici. Ai giorni nostri vengono considerati inadeguati gli adolescenti che non riescono a raggiungere velocemente i risultati che tutti si aspettano da loro. Sentirsi inadeguati significa crescere dovendo sempre dimostrare qualcosa agli altri. L’idea di ‘non essere mai abbastanza’ ha forti ripercussioni sull’avvenire dei ragazzi e sul loro modo di essere gli adulti del futuro. Questa esperienza formativa mira dunque ad aiutare un adolescente in conflitto con sé stesso, con la famiglia e con il mondo circostante aiutandolo a formarsi un’identità positiva di sé, a sentirsi adeguato e a non sottovalutarsi, ad allenare le proprie potenzialità, a migliorare il legame con le figure adulte, a riconoscere e gestire le emozioni e, quindi, ad elaborare obiettivi di vita significativi.
Quindi il coaching attinge a piene mani alle dinamiche relazionali messe in atto da Gesù di Nazaret…
Gesù va ad incontrare le persone nei loro ambienti di vita, li accoglie nella condizione in cui si trovano instaurando con ciascuno una relazione simmetrica. Il coach, come bravo educatore, si pone alla pari nei confronti di chi gli è dinanzi, accompagnandolo in un processo di scoperta e di ricostruzione consapevole della propria vita. La prima caratteristica di questa relazione è l’accoglienza come accettazione incondizionata dell’altro. Proprio come faceva Gesù: non avere pregiudizi nei confronti della persona dimostrando capacità empatica e, soprattutto, accettando i tempi di cambiamento e di sviluppo dell’altro. Gesù ha detto: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare”. Questa esperienza educativa ha proprio il compito di aiutare a saziare questa fame di vita autentica che ciascuno di noi si porta dentro, soprattutto chi è più giovane. E questa conoscenza di sé apre, inevitabilmente, alla scoperta e all’accoglienza di un Amore che ci cambia la vita: quello di Dio. Per concludere, una frase da ricordare… “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Conoscere noi stessi ci apre al vero Amore che dà senso alla nostra vita.